Chi sono

CHI SONO

Mi chiamo Vincenzo Iaia, ho 25 anni e vivo a Torre Santa Susanna un piccolo paese della provincia di Brindisi. Diplomato come Perito Agrario e Laureato in Scienze Economiche, ho deciso di non proseguire gli studi e inseguire il grande “sogno” che inseguo da tempo e per il quale sto dando tutto me stesso affinché diventi realtà: girare il mondo! La passione per le due ruote ha fatto sempre parte della mia vita, ma fu durante la mia adolescenza che capii come un mezzo a due ruote, allora una fantastica Vespa, possa farti sentire libero abbattendo tutti gli ostacoli rappresentati dalla distanza. Allora come mezzo per muovermi e divertirmi con amici, ora come strumento per fare del bene al prossimo.

La mia storia

Fu nell’autunno del 2009, all’età di 12 anni, che arrivarono i primi mal di testa. Giocavo a calcio e frequentavo l’ultimo anno di scuole medie. Pur di stare con gli amici e continuare ad allenarmi decisi di minimizzare il problema, ma passarono i mesi e quelle fitte continuavano ad arrivare con maggiore intensità. Vedendomi in quello stato i miei genitori decisero di farmi controllare da un medico. “Deve essere sinusite!” sentenziò il dottore, estraendo la sonda dalle cavità nasali. Passavano le settimane ma il problema non scomparve, anzi. Era il periodo natalizio quando i miei genitori capirono che la situazione poteva essere più seria. Decisero di non tentare più inutilmente il consulto di un medico locale, ma di andare direttamente in ospedale. Non obiettai, ero ormai consapevole anch’io che il problema non si sarebbe risolto facilmente. Fu una Tac a rendere evidente una massa tumorale nella zona della ghiandola pineale. Non mi fu detto immediatamente cosa avessi, forse perché la mia famiglia riteneva saggio tenermi all’oscuro delle reali condizioni del problema. Ebbi una piccola ma tragica esperienza all’ospedale di Brindisi, dove le condizioni igienico-sanitarie e la preparazione del personale ospedaliero fecero suonare un campanello d’allarme ai miei genitori i quali decisero saggiamente di tentare l’intervento altrove.

Fui trasferito all’ospedale Casa di Cura Bernardini nel gennaio del 2010 e lì ebbi il mio primo intervento con l'asportazione della massa tumorale. L’intervento, nonostante i tre giorni di coma e la momentanea perdita della vista, andò relativamente molto bene. Stetti 2 settimane in osservazione e fui dimesso. Non conoscevo ancora l’origine della massa e su suggerimento degli stessi medici, la mia famiglia decise di continuare a San Giovanni Rotondo le seguenti cure ed effettuare l’esame istologico. Li scoprì essere un germinoma cerebrale. I medici di Casa Sollievo decisero di effettuare sedute di chemioterapia e successivamente di radioterapia. Il trattamento del problema durò poco meno di un anno, ma in seguito furono necessari numerosi controlli affinché si assicurasse che il male fosse andato via.

Fu in quel periodo che capii come quell’ospedale, la Casa Sollievo della Sofferenza, fosse un posto speciale. In un primo momento non presi affatto bene l’idea di stare così lontano da casa. Erano pur sempre 300 km di distanza! Ma il tempo diede modo a quel luogo di entrare definitivamente nel mio cuore. Quel posto mi accorsi presto, era incredibile! Nonostante la mia adolescenza avesse alzato un muro invalicabile nella mia sfera emotiva, dove chiunque era respinto con forza, entrai in contatto con gente che mi fece sentire da subito a “casa”.

"Alcuni posti possono farti sentire a casa anche se sei a chilometri di distanza da quella che fino ad allora hai chiamato casa. Ti rendi conto subito essere un posto non uguale agli altri. Avevo già avuto la mia dose di esperienza, ma la gente li sembra essere animata da qualcosa che non sai spiegare bene a parole, ma percepisci essere speciale. Sembra spontaneo voler ricambiare tutto il bene che ricevi, senza costrizione o senza che qualcuno ti dica che è giusto farlo. Lo vorresti fare sapendo inconsciamente che è giusto così. E’ questo quello che ho ricevuto da Casa Sollievo della Sofferenza. Amore incondizionato per il prossimo. Lo percepisci in ogni cosa, in ogni gesto: dal sorriso di una infermiera al gesto affettuoso di un medico".

Motivazione

“Tu non puoi donare! Come non posso donare? Io voglio donare!”
Fu con queste parole che la dottoressa rifiutò la mia volontà di inserirmi nella lista volontari dei donatori di midollo. Allora, poco più che tredicenne, non presi affatto bene tale rifiuto. Fu come un brutto fallimento, o almeno lo era nella mia testa. Quando ogni cellula del tuo corpo è intenzionata a dare una mano non prendi affatto bene un rifiuto. Raccontai l’accaduto alla “mia” dottoressa di reparto alla quale ero molto affezionato, la dott.ssa Miglionico, sicuro che avrebbe accolto le mie istanze e avrebbe fatto in modo che io potessi donare. Ricordo molto bene come sul suo volto si disegnò un sorriso compiaciuto quasi a dirmi quanto fosse orgogliosa di quello che cercavo ostinatamente di fare. Mi prese in disparte e mi disse “Guarda Vincenzo, ci sono tanti modi con cui puoi aiutare!”. In un primo momento non capii bene cosa volesse dire con “ci sono tanti modi”. Riflettei a lungo sul significato di quelle parole. Modi? Ma, quindi, non c’è un solo modo per aiutare. Questo progetto nasce da questo, dalla continua ricerca di quel modo speciale che mi appartenesse personalmente.
Quelle parole cambiarono totalmente il mio punto di vista e, a pensarci bene, hanno cambiato tutta la mia vita. Da allora le domande che ho continuato a farmi sono state: cosa posso fare io per il MIO reparto? Cosa posso fare io per il prossimo? Certo che non sono né un dottore e non ho grandi capitali da devolvere. Questo progetto è la risposta a quelle domande.
Mi sono detto “perché non essere un messaggio di speranza? Perché non portare gioia e allegria per il mondo, fare una grande raccolta fondi per il MIO reparto e testimoniare quello che vedo attraverso i miei occhi?!”